Non è di compiti che vogliamo parlare, anche perché in questo periodo lo fanno già in molti – e per la verità, per fare qualche esempio, da ben più tempo lo ha fatto oltre confine Meirieu con il suo bel libro “I compiti a casa” (nel quale sostiene che i compiti a casa andrebbero fatti… a scuola) e dalle nostre parti Zavalloni, che in “Pedagogia della lumaca” ha raccontato con fervore di come ingiunse ad un collegio di non darli, ma soprattutto dove ne ha tematizzato il (non) senso, offrendo molte e più utili alternative. Dunque, non ne è di questo che vogliamo parlare, anche se da subito è chiaro che non crediamo ai compiti a casa, soprattutto quando sono generalizzati e giustapposti.
Vogliamo parlare di cosa i compiti sottraggono, e di cosa forse oggi sottrae la scuola. Vogliamo parlare del tempo dei bambini e dei ragazzi. E della libertà che hanno di usarlo.
Lo facciamo mentre stiamo leggendo “Lasciateli giocare”, il bellissimo libro di Peter Gray finalmente uscito proprio in questi giorni anche in Italia, nel quale l’autore, a partire da un argomentato lavoro di ricerca, evidenzia come oggi il tempo dei bambini, fuori e dentro la scuola, sia organizzato completamente dagli adulti, riducendo così drasticamente la loro possibilità (e anche la loro capacità) di giocare da soli. E di come, togliendo loro il gioco, si riduca anche la loro possibilità di esercitarsi in ciò che più amano, in quelle che sono le loro propensioni, in quello che potrebbero diventare da adulti se potessero seguire e coltivare le loro inclinazioni, liberamente.
C’è un assunto di base, lungo tutto il suo ragionamento, un assunto anch’esso non nuovo, che discende dai molti movimenti di scuole alternative che ormai da decenni, e in questi ultimi anni con più vigore, mettono in discussione i sistemi scolastici tradizionali. E l’assunto è che la scuola dovrebbe saper davvero cogliere le diverse inclinazioni, rispettarle, anzi sostenerle e permettere loro di evolvere.
La scuola, aggiungiamo noi e sempre in buona compagnia, se si pensa all’ormai famosissimo discorso di Ken Robinson sui paradigmi dell’educazione, dovrebbe offrire opportunità per esercitare il pensiero divergente, non limitate alla risoluzione di un problema matematico (quando va bene e vengono accolti procedimenti alternativi a quelli insegnati), ma generalizzate ad ogni momento: nella discussione, nelle scelte rese possibili, nella libertà offerta di fare quel che si ritiene più utile e più vicino a sé.
Ci sono esempi di scuole che lavorano così, lo sappiamo bene, ma sono sempre troppo poche e ancora troppo circoscritte. Qui stiamo parlando della possibilità generalizzata, universale, di scuole per tutti, nelle quali tutti possano sperimentare l’esercizio della libertà di scegliere, essere, costruire passo dopo passo il proprio divenire adulti. Ogni bambino messo nella condizione di provarlo, non nel vuoto, ma in luogo pensato per lui e con accanto adulti capaci di accompagnarlo, ci riesce. E, riuscendoci, cresce come individuo libero, pensante, critico, creativo e, più di tutto, responsabile, per sé e per gli altri. Che poi è quello di cui il mondo oggi ha più bisogno.
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