È
stato emozionante trovarsi tra le mani i pensieri di una persona che ha affidato
al caso la possibilità che le sue ultime riflessioni potessero essere ritrovate
da qualcuno, o nessuno - eventualità che avrebbe comunque permesso all’autrice
di restare viva perché le sue pagine avrebbero potuto nutrire le termiti o fare da nido a qualche insetto peloso.
È
stato emozionante seguire il filo dei pensieri e delle esperienze di una
vecchia insegnante che, per caso, ha intrapreso una professione che l’avrebbe coinvolta
e travolta per oltre quarant'anni, a cui avrebbe dedicato la vita.
Condividiamo
uno dei suoi pensieri, a volte pungenti ma autentici, che problematizzano l’immaginario
dell’infanzia e aprono riflessività sulle teorie che, acriticamente e
perpetuamente, guidano le pratiche educative e scolastiche.
“Amo
i bambini, nonostante il loro carattere irrequieto e tutti i problemi che danno
se tornassi indietro sceglierei comunque la strada dell’insegnamento.
[…]
Ho sempre provato a mettermi sul piano dei bambini, a comprendere le loro
ragioni, a parlare la loro lingua. Ovviamente ho fallito, non per mia
incapacità ma in quanto era già in partenza una missione impossibile. La mente
di un bambino è una cosa senza forma, malleabile, nei loro pensieri c’è tutto e
il contrario di tutto continuamente. È impossibile riuscire a insegnargli qualcosa,
cercare di catturare la loro attenzione con gli avverbi e le tabelline è come
provare a fermare un fiume in piena con un ramoscello. Forse l’insegnamento in
sé è un grande errore, i metodi scolastici fanno acqua da tutte le parti e la
rigidità con cui ci si ostina a educare i bambini assomiglia a quella di un
militare nell’addestramento dei cani da fiuto. È che continuiamo a pensare a
loro come se fossero degli apprendisti adulti, e alla scuola come a un corso di
formazione per ottenere l’attestato dei grandi. Dovremmo cambiare tutto,
ripensare il sistema dal fondo, ma ormai sono troppo stanca per fare la
rivoluzione nel mondo” (pagg. 107-108).