lunedì 11 gennaio 2016

Alternative

Intorno alla scuola c'è movimento. Di ogni sorta.
Da quello di una riforma sghemba che comunque ha almeno il merito di aver rimesso la scuola al centro delle pubbliche discussioni, a quello del social dibattito all'interno del quale fioriscono petizioni contro questo o quell'aspetto, fino a quello delle molte proposte alternative che provano a realizzare una scuola diversa da quella tradizionale.
È un movimento che arriva nel nostro paese sull'onda lunga di altri paesi che da tempo discutono l'opportunità di ripensare le istituzioni scolastiche, sovente in modo anche radicale. Ma è anche un movimento che, a pensarci bene, ha radici nel nostro stesso paese, dove molti buoni esempi di altra scuola si sono realizzati da ben oltre un secolo, se consideriamo almeno Montessori, giusto per fare un esempio noto ai più.
Oggi assistiamo ad una vera esplosione di esperienze alternative, ma questa parola ci sta stretta, per un po' di ragioni.
La prima è che, per poter definire una alternativa, bisognerebbe avere chiaro da che cosa ci si sta distinguendo, mentre l'eterogeneità di ciò che si definisce come scuola tradizionale è tale da renderlo quantomeno arduo.  Molta buona scuola si realizza ogni giorno, in molte buone scuole del nostro paese. Tuttavia, ciò avviene per lo più in due modi: o per iniziativa e buona volontà individuali o per modelli che si propongono di sperimentare strade nuove e che restano - seconda ragione per cui abbiamo resistenze su questa parola - appunto alternativi.
Alternativi in quanto eccezionali, che di per sé non è una brutta cosa, ma eccezionali significa anche rari. E rari vuol dire per pochi: quelli abbastanza lungimiranti, competenti o consapevoli da scegliere una scuola in ragione delle sue caratteristiche, o quelli abbastanza benestanti da potersi permettere le scuole che vogliono. Questo, nel nostro paese, è drammaticamente evidente, se pensiamo che la stessa Montessori, nata per favorire l'inclusione di bambini con difficoltà, si è dovuta espandere fuori dal sistema pubblico divenendo privilegio di pochi, cosicché alla fine in Italia le scuole con questo modello sono ben inferiori che altrove nel mondo e per la gran parte a pagamento.
Ciò fa sì che alternativo, da noi, tenda a rimanere tale, mantenendo le sue potenzialità evolutive senza tuttavia mai portarle a compimento, cioè senza mai andare davvero ad incidere nelle strutture profonde del sistema scolastico, sebbene non si possa negare che molte tracce di ciò che di propulsivo matura nei movimenti alternativi vada poi a contaminare positivamente molte altre scuole.
Non una brutta parola, dunque, perché porta con sé il valore dell'orientamento alla trasformazione, ma una parola che vorremmo trasformante davvero, perché altrimenti alternativo finisce per perdere il suo potenziale profondo.
E veniamo così al nodo per noi centrale. Che cosa vogliamo dalla scuola? Anzi, che cosa pretendiamo? La risposta, in sintesi, è tutto ciò che bambini e ragazzi meritano. E la scuola, oggi, non riesce a darlo. Non è colpa di questo o quell'insegnante, né di questa o quella istituzione, perché a questo e anche a quello riconosciamo l'impegno, la tensione, l'iniziativa. C'è bellezza, molta, in molte delle scuole che incontriamo. Il problema non è questo. Il problema è che non sempre c'è senso, e non perché non ve ne sia nei singoli, ma perché ce ne è sempre di meno nel sistema.
La nostra scuola procede con operazioni di maquillage, di volta in volta aggiungendo o togliendo ore di inglese, tecnologie, educazione motoria, inserendo e poco utilizzando pc, lim, tablet, come se ognuna di queste singole azioni potesse produrre cambiamenti di sostanza. Certo, meglio di nulla e meglio dell'immobilità. Ma la scuola sarà veramente rispettosa di quei bambini e di quei ragazzi quando sceglierà di guardarli in faccia, di pensarli capaci - non solo di organizzarsi o di scegliere un po', ma di scegliere tanto -, di accompagnarli a valutarsi e non ad essere valutati, di permettere loro di costruirsi le competenze di cui hanno veramente bisogno e di cui il mondo ha bisogno con loro: quella di essere parte di una comunità ampissima, eterogenea, mutevole, a cui necessita la loro vivacità, la loro creatività, la loro disponibilità all'incontro. Non è una scuola buonista, ma una scuola astuta, che anziché disperdere le potenzialità dei bambini e dei ragazzi, le coglie e permette loro di esplodere.
Ma perché ciò possa accadere c'è bisogno di ripensarla alla radice, nella struttura, nell'organizzazione: dai tempi, agli ambienti, a ciò che vi avviene dentro e ciò che viene richiesto fuori (perché i compiti, che proprio non ci piacciono, non solo l'unico né il più importante dei problemi, ma sono l'apice di un sistema che non basta a se stesso e che lancia grida d'allarme), alle proposte fatte, al rapporto tra le discipline con il mondo e tra se stesse, alle relazioni che sostiene innanzitutto tra chi ha la responsabilità di educare e chi sta crescendo. È una scuola naturale nel senso di cui parlava già Rousseau. Una scuola coraggiosa, che non ha paura di crescere individui liberi e critici, innanzitutto verso di essa. Una scuola che offre alternative, che pensa al singolo mentre guarda a tutti.
Noi non vogliamo scuole contro, ma vogliamo scuole per: buone e giuste per tutti. Per tutti. E questa è la cosa più difficile. È così che pensiamo Una Scuola. Per questo cerchiamo reti, perché tutte le alternative diventino base e forza per un progetto comune che permetta di traghettare la nostra scuola intera non nel futuro, ma nel presente dei bambini e dei ragazzi che la abitano.


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