“Fino a che punto la scuola ci aiuta a svilupparci individualmente e collettivamente?”
Le
scuole sono luoghi di crescita personale o luoghi di addestramento per “un
futuro liceo, l’università, il lavoro? E dopo per cosa?”
“In
cosa consiste una buona educazione? Nell’ottenere che la maggior parte dei
bambini superi gli standard di qualità?” Nell’ottenere un voto, un numero, una
faccina, un giudizio che confermano il ruolo di "riempitori di teste" dei maestri
e annullano la potenzialità, la creatività
e l’individualità di ogni bambino?
“Quanto
ricordiamo di quello che ci hanno insegnato nella scuola primaria? Quanto
ricordiamo dei contenuti che ci hanno insegnato nella scuola media?”
Perché
limitiamo, condizioniamo, ordiniamo e puniamo il naturale processo del bambino di
scoperta, investigazione, azione, esperienza, gioco, piacere che consentono un
apprendimento autentico?
Come
siamo arrivati a confondere e etichettare l’unicità di un bambino come una
malattia?
Perché
ogni lunedì mattina la maggior parte dei
bambini, e degli insegnati, si sveglia con il pensiero tormentato dalla noia di
dover andare a scuola e di dover trascorrere otto ore sottoposti a conoscenze che
non li interessano?
Perché
la scuola è ermeticamente chiusa al mondo esterno e alla natura?
Perché
frammentiamo il sapere, gli spazi e i tempi parcellizzando e smembrando l’esperienza
integrale del conoscere che inevitabilmente coinvolge corpo, mente e cuore?
“Qual
è lo scopo dell’educazione? Imparare? Imparare cosa? Nozioni? Oppure sviluppare
delle capacità umane che si sviluppano solamente nella relazione con l’altro,
nel tempo, nel procedimento, nel fare, nel comunicare, nel guardare e
riconoscersi, nell’amore?”
Perché
continuiamo indefessi a perpetuare pratiche disciplinanti e omologanti utili al
nostro sistema efficientistico- produttivo?
Perché
continuiamo a fare le cose così come sono sempre state fatte?
Sono solo alcune delle domande che il documentario La
educación prohibida, realizzato nel 2012 da un collettivo di cittadini e associazioni in Argentina, ha il
coraggio di porre a chiunque si occupi di educazione.
Domande
urgenti e necessarie che stimolano riflessività critica e consapevolezza
rispetto alle teorie e pratiche di educatori e insegnanti sulla
scena formativa.
Domande
che non hanno la pretesa di trovare una risposta univoca, una ricetta magica o
una nuova pedagogia per risolvere e conchiudere l’insolubile complessità dell’esperienza
educativa ma invitano a “scrollare la testa” dalle idee fossilizzate e preconcette
per rinnovare il nostro sguardo sull’educazione e pensare nuove forme di apprendimento.
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