lunedì 30 maggio 2016

Apprendere senza scarpe

Jean Jacques Rousseau raccomandava agli insegnanti: "Imparate a conoscere i vostri bambini, perché molto spesso non li conoscete affatto".
Diventa essenziale riconoscere le vie attraverso le quali l'attenzione si manifesta e si arricchisce, consapevoli che il bambino attiverà la facoltà per un tempo che dipenderà dal tipo e dalla proprietà degli impulsi ricevuti. Occorre, quindi, creare le condizioni affinché gli alunni coltivino la gioia ed il gusto di imparare. Questo è possibile, se ogni giorno, in ogni momento, in ogni attività, la prima preoccupazione, in ordine di tempo e di importanza, sarà quella di motivare gli allievi mediante esperienze che li facciano sentire autori del proprio apprendimento.
Lasciamo quindi agli alunni la libertà di ex-ducere, di sperimentare, di accrescere la motivazione verso l'apprendimento, sollecitandoli con autorevolezza e "creatività".

Qui un interessante spunto di riflessione a partire da un'esperienza diretta di "lezione senza scarpe" che ci rimanda a come avere un buon contatto con il suolo stimoli il senso dell'equilibrio, la concentrazione e l attenzione, l'equilibrio emotivo-relazionale ed ogni attività didattica proposta proceda in modo più soddisfacentemente per tutti.
Buona lettura, senza scarpe.


martedì 24 maggio 2016

Tempo di verifiche

Chiunque lavori in ambito educativo e scolastico vive proiettato verso il futuro, perché l’educazione è divenire, per sua natura. Un divenire che dovrebbe riguardare innanzitutto le possibilità messe a disposizione di chi si sta formando perché possa costruire il suo percorso di apprendimento e crescita.
Spesso, però, questa proiezione assume ben altri contorni, esterni e talora contraddittori. Ogni educatore e insegnante, infatti, sa che c’è sempre un ordine di scuola dopo il suo che ha delle attese rispetto a ciò che i bambini o i ragazzi devono sapere e saper fare per essere pronti al passaggio verso il grado successivo.
Le richieste possono essere espresse nelle forme più diverse – implicite, esplicite, assertive… – ma comunque il più delle volte finiscono per essere vissute come una pressione che si traduce in tensione a preparare i bambini per altro rispetto a ciò che stanno vivendo, qualcosa che ancora non c’è ma che prima o poi ci sarà e per cui bisogna essere pronti. Quel qualcosa, perlopiù, non riguarda la consapevolezza rispetto a quali sono le proprie propensioni, le proprie fatiche, il proprio modo di procedere, ma ha spesso a che fare con singole abilità, che vanno dall’essere capaci di stare seduti, di usare le forbici, di stare nelle righe, e via dicendo con il crescere dell’età. È l’attesa di prerequisiti per altri insegnamenti che verranno, non sempre noti e chiari a chi viene prima e comunque altri rispetto agli apprendimenti in corso.
Questo oggi è ancora più paradossale che in passato, se è vero, come ha ben sintetizzato John Holt, che nella complessità nella quale viviamo non possiamo sapere quale conoscenza sarà più necessaria in futuro, per cui non ha molto senso cercare di insegnarla in anticipo: piuttosto, occorre fare in modo che le persone amino imparare e siano capaci di farlo, per poter poi essere in grado di apprendere ciò che risulterà via via necessario.
Che si concordi o meno con questa posizione, resta il disagio, costante, tra chi viene prima e chi viene dopo, in una scuola che si preoccupa ancora troppo poco di condividere verticalmente i significati che attribuisce all’esperienza che propone. E che in tal modo non rende chiari quei significati neppure a quelli a cui sta provando ad insegnare. Così, non solo i colleghi degli ordini prima vivono il disagio di chi lavora in funzione di qualcosa che sarà e che non sa, ma anche gli stessi bambini vengono messi nella condizione di non vivere il qui ed ora dell’esperienza e della conoscenza, in attesa di comprendere – quasi sempre in un poi che deve venire e che spesso non arriverà mai – il senso di ciò che intanto si sta realizzando.
Non ovviano a questi gap gli incontri sulla continuità, generalmente circoscritti a momenti di attività condivise che poco aggiungono alla conoscenza reciproca, dei bambini e degli insegnanti. Piuttosto, occorrerebbe la volontà di raccontarsi, di mettere in dialogo le proprie idee di bambino, educazione, scuola, apprendimento… uscendo da stereotipi e mettendosi in ascolto. Questo presuppone, prima ancora, che dentro ad ogni scuola ci sia la possibilità di dichiararle con adesione e convinzione nei propri progetti, fuori dai formalismi degli adempimenti burocratici e nel desiderio di riconoscersi in un’identità condivisa e reale.
La scuola ha bisogno di dare altri tempi ai bambini, ma ha bisogno anche di trovare tempi per gli insegnanti, dentro e tra i diversi ordini, per tornare a farsi domande autentiche, aprire il confronto, generare identità desiderose di mettersi in dialogo, non dare per scontate le risposte, affrontare il cambiamento necessario.

giovedì 19 maggio 2016

La scuola italiana che cambia

“Le scuole innovative in Italia? Ce ne sono molte, basta cercarle e farle emergere. 

Queste scuole ci sono, ma spesso rischiano di essere delle “monadi” e l’obiettivo, una volta scovate, è proprio quello di riunirle e sostenerle, creare una massa critica di innovatori dell’ecosistema educativo e renderla visibile anche a livello internazionale.
L’innovazione, per queste scuole, si concretizza in 28 idee/modelli attorno a cui imperniare il cambiamento: modelli che sono un iniziale tentativo di creare una rete tra le scuole, che in generale sono partite “in solitaria” ad innovare.
«Abbiamo scovato dei veri "supereroi", dirigenti e insegnanti che riescono a fare cose incredibili praticamente senza fondi. Il punto di debolezza? Spesso il tutto è affidato alla buona volontà del singolo, ognuno è in trincea a combattere la propria battaglia, mentre se si creassero reti e se alcune risorse fossero accessibili a tutti, sarebbe più semplice allargare l'innovazione»”.

Qui l’articolo completo pubblicato su Vita.
Qui la mappa interattiva della scuola italiana che cambia.
Qui, infine, l’elenco delle scuole italiane che innovano


lunedì 2 maggio 2016

Il valore della meditazione anche a scuola

Essere coscienti di se stessi è il modo migliore per imparare a non conformarsi, per questo motivo è importante la meditazione già in tenera età, a scuola, per imparare quello che veramente li appassiona, quello che realmente amano e non perché gli viene imposto o suggerito, ma perché lo sentono dentro. Si crescerebbero persone più forti in grado di vivere il presente e in grado di diventare da grandi ciò che davvero il loro cuore vorrebbe.
A seguire uno dei tanti articoli che ci mostra l'importanza della meditazione nella pratica quotidiana scolastica:

 qui.

Sono in corso in tutto il mondo esperimenti e progetti che vanno proprio in questa direzione. Partiamo da un virtuoso esempio italiano che ha come protagonista una coraggiosa professoressa delle scuole medie che, grazie alla sua tenacia, è riuscita a introdurre la meditazione presso l’istituto dove lavora, il De Amicis, di Tremestieri Etneo in provincia di Catania.
In questo articolo viene descritta e mostrata la sua esperienza:

qui.